Un’isola di speranza per Palermo

di Elisabetta Azzalini 3^D
del Primo Liceo Artistico Statale di Torino

Nello scorso mese di Marzo, sulla scia dei viaggi “per la memoria e per l’impegno” che fortunatamente ci vengono proposti dalla scuola, abbiamo visitato Palermo, la città dalle mille sfaccettature, guidati dall’associazione AddioPizzo.

AddioPizzo è un’organizzazione di volontariato nata nel 2004 che promuove un’economia fondata sul “consumo critico”, e unisce tutti i negozianti che scelgono apertamente di non pagare il pizzo, contrassegnandoli con un adesivo sulle vetrine per renderli riconoscibili al consumatore. Si occupa ovviamente più in generale di portare avanti una strenua lotta conto la mafia; in quest’ambito organizza viaggi di istruzione volti a visitare i luoghi più significativi di questa “battaglia”, rivivendone le tappe fondamentali.

Grazie a questo progetto, abbiamo dedicato una giornata alla visita dei diversi quartieri di Palermo. Uno di quelli che mi ha più colpito è stato quello di Seralcadio, di origine araba, ove si estende il popolare e vivacissimo mercato del Capo.
Esso si snoda tra via Porta Carini e via Beati Paoli, il leggendario gruppo di incappucciati del Sei-Settecento a cui si attribuisce convenzionalmente la fondazione della mafia, anche se pare che costoro si riunissero per vendicare i soprusi subiti dai deboli e gli indifesi. Attraversando lo stretto budello, che brulica di bancarelle strabordanti di ogni genere alimentare, si possono osservare edifici di stampo popolare o addirittura fatiscenti.

Strano a dirsi, a ridosso di questo antico quartiere sorge una vera e propria cittadella giudiziaria in stile postmoderno formata da imponenti edifici di marmo e di vetro. Essa ricompone un’area precedentemente distrutta dalla guerra e dal terremoto, mantenendone la morfologia ed i precedenti nomi delle vie. Inaugurato nel Settembre 2002, il complesso architettonico, al cui interno si trova il nuovo Palazzo di Giustizia della città, è stato progettato dall’architetto Sebastiano Monaco (Monaco Architetti Associati), che a Palermo ha inoltre curato la ristrutturazione e riconfigurazione della chiesa di S. Lucia Floridia, la costruzione della nuova sede dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, inoltre si è occupato di architettura ospedaliera e residenziale.

Tra il vecchio e il nuovo Palazzo di Giustizia si colloca Piazza della Memoria, inaugurata nel Gennaio del 2006 dall’allora Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. La piazza è un luogo di commemorazione dei magistrati vittime della mafia. I loro nomi (Agostino Pianta, Francesco Ferlaino, Francesco Coco, Pietro Scaglione, Vittorio Occorsio, Riccardo Palma, Girolamo Tartaglione, Fedele Calvosa, Emilio Alessandrini, Cesare Terranova, Nicola Giacumbi, Girolamo Minervini, Guido Galli, Gaetano Costa, Mario Amato, Giangiacomo Ciaccio Montaldo, Bruno Caccia, Rocco Chinnici, Antonio Saitta, Alberto Giacomelli, Rosario Livatino, Antonio Scopelliti, Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Paolo Borsellino) spiccano in grandi caratteri d’acciaio tra i gradoni della piazza, silenziosi ed immobili.
Piazza della Memoria, infatti, è spesso utilizzata come luogo di riflessione collettiva, specialmente per i giovani studenti che aderiscono alle iniziative di sensibilizzazione alla lotta alla mafia.

Al centro dell’ampio spazio aperto si erge una scultura bronzea formata da due enormi ali, intitolata “Nike” ed eseguita nel 2001 ad opera dell’artista Giovanna De Sanctis (laureata in Architettura a Roma, è stata chiamata a partecipare a numerose esposizioni prestigiose di arte contemporanea in tutta Italia e all’estero).

Non è l’unica opera di arte contemporanea presente, infatti, lungo la strada che collega la piazza con l’area mercatale, si colloca una lunga serie di obelischi in acciaio, bronzo e granito, opera di Antonio Musarra Tubi dal titolo “Come un colonnato”. In ognuna di queste colonne si apre uno squarcio, che, allontanandosi dalla piazza, diventa sempre più grande. E’ un’immagine che apre molti spunti per l’interpretazione, anche leggendola in senso opposto: una ferita che si rimargina? Una memoria collettiva che, con il trascorrere del tempo, si affievolisce sempre di più?

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