la 2H e l’attività: SCRITTURA DOCUMENTATA, dalla lettura di pagine sulla I guerra mondiale all’elaborazione di un testo personale a cura della Prof. Bicego

All’interno del progetto Maledetta sia la guerra sono state lette alcune pagine tratte da romanzi che testimoniano o semplicemente raccontano vari aspetti della vita del soldato. Al termine del percorso di lettura e dopo una condivisione di classe, gli allievi sono stati invitati ad elaborare un testo fantastico o espressivo che tenesse conto però di parte delle informazioni ricavate dalle letture.

ASPETTANDO UN DOMANI MIGLIORE

E' un giorno di gennaio, fa freddo e c'è puzza, come sempre. Siamo tutti agitati, non sappiamo quando un proiettile porrà fine alla nostra vita e se mai lo farà. In questo momento penso solo alla mia adorata bambina che assieme alla mamma aspetta e spera nel mio ritorno.
Un pensiero va anche ai troppi compagni morti, uccisi e gettati sull' asfalto come cani, con gli occhi che implorano aiuto fino all' ultimo e il corpo rigido che li ha già abbandonati.
Il suolo non è nostro amico, ci attira e ci inghiotte l'anima senza pietà, senza preoccuparsi di noi, lasciandoci con la disperazione e con l'angoscia prima di toglierci l'ultimo respiro. (Niente di nuovo sul fronte occidentale)
Quando partiamo per la guerra siamo tutti allegri o brontoloni, ma quando giungiamo nella zona del fuoco siamo divenuti una razza belluina e il silenzio fa sì che i ricordi non suscitino desiderio ma tristezza. (Niente di nuovo sul fronte occidentale)
Domani toccherà a me, lanciarmi verso la morte sperando che inciampi e non mi prenda, ho paura, troppa paura, di affrontare tutto questo. Troppi sono i compagni usciti e mai rientrati, troppe le lacrime versate su un suolo che tra una decina d' anni verrà dimenticato e con esso la nostra storia. (Film " Torneranno i prati")
Sto male. Stamattina hanno ucciso Lucas, il mio migliore amico, è morto davanti ai miei occhi, il dolore ha superato la paura. Erano lacrime che scendevano sul viso sporco e gemiti al posto delle parole. Avrei preferito si prendesse vent'anni della mia vita, anche di più, perché io non saprei che farmene, l'ho pregato di alzarsi (Niente di nuovo sul fronte occidentale) ma lui non mi ha mostrato un cenno di vita.
Così si sta in trincea, un momento vivi, quello dopo sei a terra, agonizzante, producendo gemiti strozzati, con gli occhi vitrei e la schiuma alla bocca. ( Vite e morte sul fronte italiano)
Qui ci sfruttano, i generali intendo, ci usano per combattere in casi estremi, dove la morte è certa, non pensano a noi, pensano a loro stessi, a salvarsi la pelle, mentre noi cadiamo. E' uno schifo, un maledetto schifo! ( Niente di nuovo sul fronte occidentale)
I generali ci obbligano a leggere delle preghiere che contengono maledizioni contro i nemici ( Il buon soldato Scneick ,) vogliono farci diventare assassini spietati e con i più deboli ce la fanno.
Capita anche che litighino tra di loro, dandoci ordini diversi e noi ci troviamo nel mezzo delle loro discussioni senza sapere a chi dare ascolto.
A volte è capitato che dei sergenti fossero uccisi da due soldati perché questi ultimi volevano dare ordini e i sergenti non volevano ubbidire.
Al primo tuonare di una granata torniamo con una parte di noi stessi indietro di migliaia di anni. E' un intuito animale quello che in noi si desta, che ci guida e ci protegge. Non si può spiegare, si va senza pensare a nulla. ( Niente di nuovo sul fronte occidentale)
Molti compagni si sono finti malati per non usare la piccozza, (La paura) molti si addormentano durante un combattimento per la troppa stanchezza, altri sono intenti a scrivere su un taccuino tutto quello che succede (La paura), tutti che aspettano una pallottola da un momento all'altro, impauriti, perché la carne non si fa altro che seppellirla. ( Addio alle armi)
Non so se domani potrò tornare a scrivere, quello che so è che impiegherò tutte le mie energie per riabbracciare mia moglie e mia figlia.

Erika Filograna

IL CANTO DELLA GUERRA

Siamo tutti in cerchio. Come ogni Natale, estasiati dal nonno che davanti un tenue fuoco, narra le sue avventure di guerra, da giovane soldato. È affascinante vedere come, i suoi occhi riflettano i ricordi, come rendano l’espressione triste, inorridita o orgogliosa, quasi eroica. È sempre stato il mio momento in famiglia preferito. Noi nipoti lo abbiamo sempre visto come un eroe, perché nel mondo orribile in cui aveva vissuto forzatamente, mio nonno si era comportato da vero eroe. Tutti sono in silenzio e finalmente i racconti hanno inizio: “Era il lontano 1913, quando fui arruolato. Facevo parte di un plotone, al confine austriaco. In una trincea immersa nella neve, sono nate nuove e sconosciute emozioni; la principale fu: la paura. Quella macchia di veleno che a poco a poco sporcava tutti, trasformando giovani uomini, in animali egoisti, con il solo istinto di sopravvivenza. Nessuno lottava per amore, per il desiderio di rivedere una famiglia troppo lontana, ma solo per salvare se stessi. La paura trasforma, se arriva al cuore, anche il migliore degli uomini. Bisogna stare attenti, bambini, a non lasciarsi sopraffare da questo mostro cattivo”.
Mio fratello chiede: “Ma nonno, anche tu hai provato la paura? Il mostro ti ha preso o lo hai sconfitto?”. “Sai Hans nel luogo in cui mi trovavo, tutto era immerso dal bianco della neve. Tutto era ovattato da quel cuscino silenzioso. In quel silenzio ho cominciato a pensare alla nonna, al futuro che avrei avuto con lei. La certezza di quel futuro, che tutti credevano estinto, mi ha fatto sopravvivere. Ora però proseguiamo. Eravamo sotto attacco e, se mettevamo un solo piede fuori trincea, eravamo spacciati. Purtroppo però eravamo costretti a farlo. E così uno a uno dovemmo provarci. Quello fu uno dei momenti in cui la paura rapì tanti giovani cuori. La paura della morte. Vedendo un compagno dopo l’altro cadere sotto i colpi austriaci, cominciammo a cercare alternative per non morire, disperati come bambini persi in un luogo sconosciuto. Tre compagni provarono a scappare, ma il generale li bloccò e li punì personalmente, uccidendoli a causa di diserzione. Tre colpi di pistola in testa a tre giovani innocenti. Ecco Hans, quello fu un momento in cui provai paura. Paura, per la freddezza, quasi naturale, di quel generale, nell’uccidere tre uomini che non erano tali, disperati, impauriti e indifesi. E la cosa davvero assurda, fu che al termine degli attacchi, quando gli alti comandi passarono dalla trincea per controllare la situazione, il Generale fu promosso ad una carica maggiore, questo grazie all’omicidio, ( perché tale era), dei tre disertori, se così possiamo chiamarli!”
Hans non capisce e domanda: “Ma perché, nonno, quell’uomo uccise degli uomini come lui? Erano pure del suo plotone!”
“Perché aveva due scelte: andare contro i superiori e disattendere gli ordini, facendoli fuggire, o ucciderli perché disertori. Lui decise di sottostare agli alti comandi, comportandosi come una macchina, senza una propria volontà decisionale, agendo come un mezzo sfruttato da altri. Ci furono molti uomini trasformati in macchine in questa guerra. È più facile arrendersi e sottostare a ordini, che lottare contro chi ha il potere.”
Fa una pausa come se il seguito fosse in qualche modo per lui grave, pesante da narrare. “In verità, ci fu un giorno in cui mi arresi. Vedendo solo morte intorno a me, il mio primo pensiero divenne solo sopravvivere. Nella trincea semicrollata, in mezzo alle assi c’era un fosso. Mi nascosi all’interno e con mia sorpresa vi trovai un altro soldato: il generale degli austriaci! Appena lo vidi l’impulso fu di puntargli il fucile alla tempia. Quella era la dimostrazione di quanto fosse potente, quel veleno cattivo. Quell’ansia che si diffondeva del perdere tutto ciò a cui si teneva. La paura di non poter più avere un futuro. Però quelle stesse identiche emozioni mi colpirono dallo sguardo, degli occhi di legno ormai incapaci di piangere, dell’uomo morente che avevo di fronte. Era un uomo. Esattamente come me, spaventato alla prospettiva di perdere un futuro.”
Fa un sospiro e continua con occhi persi nei ricordi: “Non lo uccisi. Io potevo cambiare la sua vita, salvarla. Per ore rimasi accanto a lui, pressando le bende improvvisate sull’addome freddo come il ghiaccio. Rimasi lì in un buco lontano dal mondo, cercando di salvare un uomo ormai morto, e piangendo per la solitudine, il silenzio che all’improvviso risuonavano come un urlo in mezzo a quelle montagne. Fui uno dei pochi sopravvissuti, e per la vasta esperienza in campo fui nominato Generale. Gli anni seguenti non furono i peggiori, ma ricordo perfettamente due episodi che mi sconvolsero.”
Accende la pipa, immagino per nervosismo o abitudine. Siamo completamente presi dal racconto, sentendo quasi gli spari, avvolti dall’odore dolciastro del tabacco.
“Era il 1918. Io e gli alti comandi, eravamo diretti al fronte per controllare la situazione e le perdite. Per strada la macchina si bloccò e dovemmo scendere tutti, a me e al secondo generale fu ordinato di recuperare delle frasche. Scappammo rifiutandoci. Ricordo ancora le risate dei superiori nel notare l’eccitazione dell’autista per essere riuscito ad uccidere un uomo. Il mio compagno. Oppure ricordo ancora l’orrore nel trovare un intero plotone soffocato dai gas austriaci. Il 29 giugno. Un silenzio assordante, come se davvero stessero tutti dormendo.” Sorride tristemente. “Ma ormai in quei prati la gente vive, gioca, ride. E tutti i morti di questa guerra non vengono più pianti dalle famiglie, dimenticati sotto un’erba verdeggiante troppo spessa per lasciare spazio ai ricordi.”
Ma io so, io ricorderò, anche solo con uno sguardo rivolto al mio eroe dagli occhi pieni di ricordi.

Grasso Giuditta

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Guerra.

“Che cos’è la guerra?”
Se un giorno lontano qualcuno me lo chiedesse, io cosa risponderei?
Non avendola vissuta, avendola vista solamente da distante, da uno schermo in salotto o dai racconti e gli scritti che ho potuto leggere, avendola conosciuta tramite i racconti dei parenti, che iniziavano sempre quando si ritrovava una lettera di “nonno” Giorgio dai campi di prigionia o una lettera di mia bisnonna, che in guerra aveva perso Paolo.
Io, che mi sento così distante da tutto questo, seppur non sia così lontano come sembra, cosa risponderei?
Non so cosa si prova ad essere all’interno di tutto questo.
Posso solamente immaginare cosa succede all’interno del conflitto, oltre alle battaglie; posso solo immaginare cosa si prova ad essere in questa situazione, o forse neanche questo.
Non so cosa significhi essere in trincea, avere di fronte un tuo superiore e sentirti dire di dover imbracciare il fucile, uscire allo scoperto e andare in contro alla morte ( “La paura” di Federico De Roberto ).
E se non riuscissi? Se un soldato non riuscisse a prendere quell’arma e interrompere la sua vita così, per volere di qualcun altro, cosa accadrebbe? Ovviamente verrebbe ucciso, morirebbe comunque.
Un esempio è ciò che è descritto nel testo “Addio alle armi“, di Ernest Hemingway, dove per un semplice rifiuto ad eseguire un ordine poco importante, i soldati diventano dei disertori e vengono uccisi a colpi di pistola da un loro superiore,
La guerra è una cosa orribile, ma ancor peggio è ciò che ti porta a fare, come ti cambia.
Ci sono tantissimi esempi nella letteratura di “personaggi” che vengono portati all’estremo, che sono portati ad uccidere se stessi o un “nemico” (che nella maggior parte dei casi è un povero ragazzo che come te si ritrova in mezzo al conflitto, mandato da qualcun altro e che si trova semplicemente dalla parte “sbagliata” del fronte)
Se un “nemico” ti si parasse davanti, per un caso o meno, cosa faresti?
Penseresti prima a te che a lui, penseresti a non morire e a salvarti la pelle.
Nel caso accadesse, chiunque per sopravvivere prenderebbe la prima arma che si trova di fianco e la utilizzerebbe come può, per far prima del nemico, senza pensarci, tentando di fare il più velocemente possbile.
Cosa ben diversa da uccidere qualcuno distante, con un fucile, dove riesci a vederlo solo per un attimo, oltre la trincea, nella lente di un mirino.
Non sei obbligato a vederlo morire, sentire i rantoli, provando emozioni terribili, guardandolo negli occhi vuoti, vedendo la vita abbandonare il suo corpo. Sapendo solo, come una sorta di consolazione, che hai fatto ciò che dovevi fare, sapendo che hai dovuto fare una scelta: o te o lui.
( “Niente di nuovo sul fronte occidentale” )
Ancor peggio però è se a morire è un tuo compagno, un tuo sottoposto e l’assassino sei tu.
Per un ordine altrui o per una mentalità sbagliata capita che questa cosa tanto orribile accada. E’ un atto che serve per punire chi tenta, chi ha il coraggio di allontanarsi e di abbandonare un conflitto inutile; oppure per evitare che altri tentino la stessa strada, per evitare altri disertori. (“Addio alle armi” )
Spesso, pur di non essere uccisi, di non dover affrontare la morte ancora una volta, pur di non farsi togliere la vita da altri, si compie un gesto ancor più estremo dell’uccidere qualcuno, l’uccidere se stessi.
Chissà quanti come ultimo gesto hanno premuto un grilletto, puntando la canna contro di sé, contro il proprio cranio.
Per farlo serve molto più coraggio di quanto servirebbe per compiere questo atto contro qualcun altro, per quanto non si debbano vedere gli occhi di fronte a te spegnersi e il corpo lasciare fuggire via la vita; si deve riuscire a staccare, ad abbandonare consapevolmente tutto ciò che ti appartiene.
Chi compie questo gesto di solito lo fa perché non ha altra scelta, perché è comunque arrivato al capolinea, o è vicino ad esso.
Già, alcuni preferiscono uccidersi piuttosto che essere uccisi.
Preferiscono uccidersi piuttosto che continuare a subire ingiustizie e a vedere morti, sapendo che prima o poi sarà qualcun altro a vedere il loro di corpo, quando sarà il loro turno ( “Torneranno i prati”/ ”La paura” )

Di guerra si può parlare per ore ed ore, spaziando dai conflitti più vecchi a quelli odierni, quelli che coinvolgono il nostro paese e quelli che invece hanno luogo in Medio Oriente, oppure si può parlare dei due più grandi conflitti mondiali.
La prima guerra mondiale. Chiamata così perché fu il primo grande conflitto che interessò gran parte del mondo allora più “avanzato”, con la presenza delle nazioni allora e tutt’ora più influenti politicamente ed economicamente.
Quella era una guerra assai diversa da quella che conosciamo meglio oggi, una guerra di posizione, combattuta all’interno di trincee e non in campo aperto, una guerra dove non esistevano le armi odierne ma dove si andava quasi certamente incontro alla morte.
Era una cosa ovvia.
Un soldato per attaccare doveva esporsi al fuoco nemico, doveva andare verso la trincea nemica, con gli altri schierati di fronte, con il fucile puntato. Unico riparo: il corpo del compagno morto prima di te.

Ogni guerra, alla fine, questo è: morte. Da qualunque punto la si guardi. Non è altro che morte. Ovviamente esistono visioni differenti di essa e della vita militare in generale, ma credo che questa sia un’affermazione che non si può controbattere.
Magari per alcuni la guerra è fatta di grandi vittorie o di sconfitte; la guerra per loro è fatta di valore, orgoglio, riconoscimenti.
Per alcuni trovare la morte in guerra è trovare una morte eroica, per quanto possa essere vana o fine a se stessa.
Non la penso così, non trovo nulla di giusto nella guerra.
Non comprendo chi va in guerra per combattere, chi manda qualcuno in guerra per combattere. Soffro per chi è obbligato ad andarci e per chi, sfortunatamente, la guerra se la ritrova in casa.
Io, invece, preferisco non avere nulla a che fare con la guerra.
Non voglio vedere tutta quella morte, non voglio vedere nemici, trincee, non voglio camminare in un ospedale da campo, non voglio sottostare agli ordini di sergenti, generali, fanatici della guerra, mandati al fronte da superiori che non combattono, ma che hanno chi lo fa per loro, che combatte per il paese, per risolvere un conflitto. Non voglio avere il rispetto di quei superiori che mi mandano a morire (“Il buon soldato” )
Vorrei non provare mai ciò che ho letto più e più volte.
Nel caso dovessi farlo, diserterei, nonostante le conseguenze.
Luca Vinassa

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