Recensione “Fango e gloria”

recensione di Massimo Razzi, LaRepubblica.it

È la Grande Guerra, quella vera con le trincee, il sangue, il fango, i milioni di morti e dispersi. Ma è anche una fiction a colori con le storie, gli amori e i sogni di due ragazzi e di una ragazza perduti nel disastro che sconvolse il mondo tra il 1914 e il 1918. Fango e gloria (presentato oggi a Venezia, a latere delle mostra, al teatro Goldoni) è un’operazione culturale e tecnica prima ancora che un film sul tema della guerra. Nelle sale arriverà il prossimo ottobre, mentre in tv lo vedremo su Rai Uno. Il film è così impressionante che anche i francesi di Histoire (canale TFR 1) lo hanno acquistato. Il progetto dell’Istituto Luce e della Baires Produzioni (sostenuto da Regione Veneto e Banca Desio) ha ricevuto tutti i patrocini di rito (Presidenza della Repubblica, presidenza del Consiglio, ministero della Difesa) e sarà sicuramente molto utilizzato in tutte le celebrazioni del centenario della Prima Guerra mondiale oltre che in quelle (in corso) per i 90 anni dell’Istituto Luce.

Il progetto nasce circa un anno fa e viene affidato alle mani del regista Leonardo Tiberi, autore di diversi documentari storici e profondo conoscitore dell’immenso repertorio di immagini archiviato dall’Istituto Luce: “Abbiamo tentato un’operazione diversa dal solito. L’obiettivo era quello di costruire un prodotto coerente utilizzando i materiali di repertorio e nuove immagini girate ad hoc. La storia dei personaggi, una fiction a tutti gli effetti, doveva muoversi sulle immagini vere della guerra. Così abbiamo deciso di trattare i materiali a disposizione per rendere la guerra com’era, con i movimenti, i colori, le parole, i suoni che l’accompagnarono davvero”.

Per ottenere il risultato si è creato un gruppo di lavoro (guidato da Marco Kuveiller della Dowlee) che si è occupato delle procedure (dalla “colorizzazione” alla sonorizzazione) necessarie ad attualizzare le immagini a disposizione. Le pellicole conservate negli archivi Luce sono state scansionate in alta definizione, restaurate, ripulite da macchie e graffi. Poi sono state acquisite in digitale e riportate a velocità normale evitando il tipico effetto “ridolini” (movimenti a scatti e velocizzati) delle pellicole d’epoca. Infine sono state “colorizzate” utilizzando una tecnica i cui risultati si avvicinano a quelli (il Kinemacolor di Charles Urban) dei primi tentativi del “colore” che risalgono proprio agli inizi del secolo scorso. Per il rispetto filologico dei colori (divise, armi, vestiti civili) sono state utilizzate fonti (immagini, testi descrittivi ecc.) di prima mano.

Il risultato è notevole: vedere gli alpini che scivolano sulle nevi con le divise bianche, sotto il cielo azzurro finisce, curiosamente, per essere più realistico delle vecchie immagini in bianco e nero. E anche più drammatico, come drammatiche sono certamente le immagini dei duelli di artiglieria, dei soldati che escono dalle trincee per affrontare quegli scontri quasi corpo a corpo che spesso volevano dire morte certa. E sono anche molto forti le scene delle retrovie con i carri, le salmerie, le truppe che si muovono nel fango: un fango vero, colorato, che fa impressione. Pure terribile è la scena dell’affondamento della corazzata austriaca Santo Stefano (10 giugno 1918 nell’Adriatico, al largo dell’isola di Premuda) a opera dei mas della squadriglia di Luigi Rizzo. Il mare è azzurro e calmo e la nave letteralmente formicola di uomini disperati che si gettano in acqua cercando la salvezza. Poi il gigante di acciaio si rovescia e affonda in pochi istanti. Sembra tutto finto, tanto è drammatico, ma è profondamente vero. “È la prima guerra mondiale a colori – commenta Tiberi – Esattamente come la vissero i nostri bisnonni”. Dall’altro lato, anche le immagini della parte filmica sono state trattate per avvicinarle a quelle di repertorio. Alla fine, la differenza, come è logico, si vede, ma c’è un’effettiva coerenza stilistica.

Ma il film riproduce anche i suoni (veri o verosimili) del conflitto. Le immagini sono state anche insonorizzate: dal rombo dei cannoni, agli spari delle armi leggere, ai rumori d’ambiente (carri che si muovono, motori, cavalli che nitriscono ecc.). Non solo, in qualche caso, sono stati riprodotti persino i dialoghi. Sono stati studiati (dove possibile) i labiali, riportati ai diversi dialetti parlati dai soldati del tempo e “doppiati” in studio. Gli esterni, invece, sono stati girati ai piedi del monte Baldo, colosso montuoso tra Trento e Verona.Il risultato è piuttosto impressionante.

Ma Fango e gloria, si diceva, è anche una fiction: Eugenio Franceschini è Mario, il protagonista che morirà e diventerà, alla fine, il “Milite ignoto”, Valentina Corti è Agnese, la sua fidanzata, Francesco Martino è Emilio, l’amico con il quale parte per la guerra. Sono ragazzi delle riviera romagnola spaventati e attratti, nello stesso tempo, dal conflitto che sta per travolgere tutto. Che partono per il fronte  con l’obiettivo di portare a casa la pelle ma con il senso di un dovere da compiere. E, spiega Tiberi “abbiamo cercato di sottolineare l’aspetto che quella fu la prima guerra che vide una partecipazione attiva e diretta delle donne. Che si sostituirono agli uomini al fronte nelle attività di tutti i giorni necessarie a far andare avanti un Paese che era appena entrato nella modernità”.

E fu anche, quello, forse, il primo momento in cui italiani di tante parti di un Paese appena nato con pochissima coscienza di sé, si trovarono a confrontarsi, a vivere di stenti, a morire (spesso) e a trascorrere ore di pura angoscia. Sensazioni forti che, forse, per la prima volta diedero a molti il senso di una qualche coscienza di essere, in fondo, una nazione.

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