Presentazione del libro “Uomini che pagano le donne” di Giorgia Serughetti.

a cura di Enea Barberis Jalla 4^Bs

È sempre un bene per uno studente ampliare il proprio bagaglio di conoscenze in ambiti diversificati, dovesse trattarsi anche solo di una spolverata di informazioni.
Ho quindi colto al volo l’occasione, lo scorso 4 aprile, per andare alla presentazione di un saggio con tema il fenomeno della prostituzione, alla Fondazione dell’Avvocatura di Torino.
Erano presenti in qualità di relatori l’autrice Giorgia Serughetti, ricercatrice dell’Università di Milano in merito a Fenomeni Migratori e Relazioni di Genere, Laura Onofri del Comitato Se Non Ora Quando di Torino, Stefanella Campana, giornalista di La Stampa, Paolo Borgna, Magistrato della Procura di Torino da anni facente parte di un gruppo di giuristi che si occupano di sicurezza urbana, e Domenico Matarozzo del Cerchio degli Uomini, facente parte di un’organizzazione Torinese con l’obbiettivo di fornire uno sportello di ascolto ad uomini che abitualmente fanno uso di sesso a pagamento.
Da notare a mio avviso è il fatto che la stragrande maggioranza delle persone presenti avessero passato i cinquant’anni.
Sono del parere che sarebbe invece opportuno che su tali argomenti ci fosse un interessamento soprattutto da parte delle fasce più giovani della società.
Il saggio è incentrato sulla figura del cliente, questione non spesso affrontata in molti altri testi che parlano dell’argomento.
In effetti, come affermato da Romana Ghiglioni, autrice del libro “Questione prostituzionale”, alla fine dell’incontro, se nel corso della storia per definire una prostituta sono stati trovati epiteti variegati quanto dispregiativi, per quanto riguarda i “clienti”, generalmente si è portati ad utilizzare termini più delicati: cliente, per l’appunto, piuttosto che destinatario della prestazione, piuttosto che fruitore ultimo.
Per rifarsi a dati concreti, si riporta che il mercato del sesso a pagamento in Italia basa la sua esistenza su un numero approssimativo di 9 milioni di clienti (sono inclusi nel conto tutti gli uomini che hanno pagato una prestazione almeno una volta nella vita), per un introito di circa 30-50 miliardi l’anno.
Delle prostitute oggi attive, il 75% lavora in strada e solo il 30% è volontario.
È un dato di fatto che le posizioni dei vari Paesi nei confronti del fenomeno della prostituzione sono piuttosto diversificate.
Per restare in ambito europeo, se in Svezia, a partire dal 1999, sono state introdotte sanzioni restrittive nei confronti dei clienti, più che in quelli delle prostitute, in Olanda e Germania la prostituzione è considerato un lavoro al pari di altri.
Questo dimostra che un sentimento più permissivista nei confronti di questo fenomeno non lo si ha solo in Paesi dove prosperano miseria e povertà come spesso si crede, ma anche in quelli considerati membri di spicco della civiltà occidentale.
Procedendo riguardo al cosiddetto cliente, questo risulta maggiormente presente in uno specifico ramo della società ma parimenti in tutti i gruppi sociali.
Le motivazioni della richiesta, per altro in netto aumento negli ultimi anni, sono molteplici: la necessità di variare, il bisogno di dominare un’altra persona, il bisogno di discutere dei temi più svariati.
Quest’ultima motivazione risulta generalmente poco apprezzata dalle prostitute, che si ritrovano a dover operare in un campo, quello psicologico, diverso da quello loro abituale.
L’aumento della richiesta di prestazioni sessuali a pagamento iniziata a partire dal 1960 e riscontrata in quantitativi notevoli nel nuovo millennio, sembra andare di pari passo con la crescente emancipazione femminile e della conseguente minore disponibilità di una certa percentuale di donne come partner sessuali per il solo volere degli uomini.
Questo parrebbe essere motivato dal fatto che una grossa fetta degli uomini vede nella parità dei diritti della donna una sottrazione di potere.
Per quanto riguarda il fenomeno in generale, è bene operare delle distinzioni, in quanto questo è spesso eccessivamente generalizzato, mentre invece sono presenti situazioni diverse tra loro.
Per cominciare è bene specificare che non tutta la prostituzione è quella che si definisce “tratta”.
Fondamentalmente esistono tre tipi di prostituzione.
La prostituzione autonoma, che è tale nel momento in cui la prostituta opera solo quando lo desidera ed ha la possibilità di rifiutare il cliente (questa tipologia costituisce la percentuale minore).
La prostituzione sfruttata, nella quale la prostituta è costretta a consegnare ad altri parti significative dei suoi proventi ma mantiene comunque un minimo di libertà.
La prostituzione sotto tratta, nella quale la prostituta viene soggiogata e non ha alcuna libertà di movimento né la possibilità di avere contatti.
È in questo ambito che sono maggiormente presenti gli episodi di tragica e brutale violenza (come ad esempio lo sfregio delle braccia con lo straccio imbevuto di acido), come riportato dal Dottor Borgna, che elenca tra le motivazioni principali della violenza per rappresaglia, il trattenere denaro (spesso nel tentativo di farlo avere a famiglia e parenti), il rispondere malamente ai capi ed ancor più l’affezionarsi ai clienti.
Quest’ultima motivazione ha una ragione fondamentale.
Come conferma il Dottor Borgna, che ha discorso delle sue esperienze come magistrato, sono spesso i clienti che stringono un legame emotivo con la prostituta a svolgere un ruolo rilevante nel consentire a questa di sfuggire al giro della criminalità organizzata, spingendola ad andare in questura per sporgere denuncia (e a volta accompagnandocela), piuttosto che recandosi essi stessi in cerca di aiuto e supporto.
Per quanto riguarda la prostituzione sotto tratta, risulta che siano più spesso le ragazze/donne nigeriane immigrate a diventarne vittima, a causa di una fitta rete che le organizzazioni di sfruttamento gestiscono qui in Italia come nel paese d’origine.
Riferendoci invece alla prostituzione autonoma, la crisi economica ne ha fatto aumentare l’offerta in modo rilevante.
Cercando di reperire delle soluzioni a queste problematiche, si potrebbe essere portati ad abbracciare il modello svedese, che mira a sanzionare la richiesta nel tentativo di rendere improduttiva l’offerta.
Sfortunatamente si è osservato che nonostante le misure approvata dal governo svedese, la richiesta ha continuato ad aumentare in percentuali rilevanti.
Il Dottor Borgna ritiene che per affrontare queste situazioni sia innanzi tutto necessario accettare pienamente le prostitute come cittadine, di modo da garantire i loro Diritti Fondamentali.
In Italia è presente un ampio strumento penale impiegabile per contrastare il dilagare dello sfruttamento, a qualunque livello esso sia.
Sfortunatamente, il Codice Penale è un’arma spuntata, in quanto è estremamente difficile applicarlo a quello che possiamo definire un crimine di massa, essendo i consumatori abituali circa 2 milioni.
Un limite è probabilmente anche imposta dalla lentezza delle procedure penali del nostro paese.
Secondo il Dottor Borgna, nel caso della prostituzione volontaria, lo Stato dovrebbe mantenere una posizione neutrale.
Per quanto riguarda il cliente invece, questo dovrebbe subire una stigmatizzazione sociale, oltre che civile, nel momento in cui sia consapevole di una situazione di violenza e sfruttamento.
Concludiamo quindi con i commenti di Romana Ghiglioni, già citata in precedenza, secondo cui il primo gesto di una rivoluzione nel modo di porsi e chiamare le cose con il loro nome: se gli epiteti per definire una prostituta si sprecano, anche il cliente merita di “battezzato”.

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